Intervista a Hugo Plomteux

Video dell’intervista a Hugo Plomteux, il dialettologo a cui è stata intitolata la Biblioteca Scolastico Civica di Ne, capofila della Rete del Mandillo

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Il libro “CULTURA CONTADINA IN LIGURIA, la Val Graveglia, di Hugo Plomteux, Sagep, 1980

Per la continua richiesta del testo ritenuto fondamentale, non solo a livello universitario, anche di altre nazioni (domanda di una copia è giunta persino da un ateneo svedese) il volume è stato ristampato nel novembre 2000, a venti anni dalla prima pubblicazione, nel novembre 1980- e dalla seconda, immediata, nel gennaio 1981.

Il volume fa bella mostra di sé con la copertina rossa e la figura di un anziano della Valle che scalda con fuoco a legna la campana di terracotta, utilizzata per una cottura caratteristica delle zone agricole entro e oltre i 600 metri sopra il livello del mare. Questo frontespizio è infatti un emblema ormai per la cultura di tutto l’entroterra ligure, soprattutto di levante, ma non solo, essendo queste tradizioni molto simili nei territori e nelle contigue Valli, della Fontanabuona, del Petronio e della Val di Vara, Valle Scrivia, Valpolcevera, Valbrevenna, sconfinando nella Liguria di ponente, oltre che nelle province di La Spezia e Piacenza. In qualche modo le popolazioni limitrofe ci si riconoscono, per cui è sintomatico l’interesse con il quale, ad esempio persino un abitante della Val di Taro, legga approfonditamente e con motivazione il libro. La fascia di lettura comprende peraltro non solo lo studioso e lo studente di storia rurale , di glottologia o in generale l’ erudito alla ricerca di studi seri sulle identità locali. Anche la persona comune, quella che normalmente non aprirebbe un libro in queste pagine si ritrova, sfogliandole con attenzione alle splendide immagini e ai capitoli che riguardano la vita quotidiana, ancora tanto significativa nelle tracce concrete del paesaggio e nelle memorie umane ed esperienziali di chi vive l’oggi. Non si tratta solo di trascrizione particolareggiata dei tratti caratteristici di una cultura contadina non ancora scomparsa in queste Terre. E’ qualcosa in più del pur pregevolissimo e inestimabile patrimonio linguistico del dialetto ligure locale. Anche il genovese della città capoluogo di Regione si riconosce nel linguaggio del libro, riscoprendo i termini più antichi e talvolta a rischio di essere dimenticati nell’uso comune, estrapolati da una Valle rimasta arcaica e a lungo abbastanza isolata, anche a causa della scarsa viabilità esistente, almeno fino agli anni 60. Ciò ha impedito di fatto la naturale mescolanza tra culture, preservando le usanze del posto: in questi luoghi, negli anni 50, si cercava ancora moglie o marito al massimo in bicicletta. Ciascuno insomma, come dice il proverbio, aveva “moglie e buoi dei paesi suoi” e i confronti con altre culture erano avvenuti in precedenza anche attraverso i racconti o le lettere dei parenti che erano emigrati nelle “’Meriche”, o ciò che riferivano i cantastorie che, con un organetto, si guadagnavano da vivere per le strade del mondo, andando altrove e portando con sé, in affido, i bambini di famiglie numerose affinchè si guadagnassero un tozzo di pane. Ma quel che c’è nel testo è proprio com’era il qui e l’allora di 40-50 anni fa, conservato come cultura proveniente dalla notte dei tempi, nell’ essenza della più umile e autentica quotidianità. Non solo semplice, fedele e minuziosa trascrizione, che sarebbe già comunque pregevolissima. Ma anche recezione di uno spirito, di un’atmosfera, di una sobrietà parsimoniosa, fatta spesso di poche parole, che nei secoli ha maturato, attraverso la durezza della sopravvivenza in un luogo dove la terra è piena di pietre, persino rare- ma faticose da lavorare- il senso essenziale della vita. Hugo Plomteux, un giovane belga poco più che ventenne, ottenne negli anni ‘60 una borsa di studio in Italia, presso l’Istituto di Glottologia dell’Università di Genova, che gli consigliò per una ricerca proprio la Val Graveglia, appunto per la sua logistica e la conseguente conservazione delle tradizioni, anche linguistiche, più arcaiche. Hugo era tendenzialmente piuttosto timido, ma determinato; non altissimo ma “ben piantato”, chiaro di capelli , si faceva capire appena in italiano (predisposto parlava già comunque varie lingue) in questo entroterra di collina e bassa montagna dove tutti i giorni il genovese era, a quei tempi e per larga parte della popolazione ancora, la lingua prevalente. Per la gente della zona all’inizio Hugo è stato un “foresto”, alloggiato presso l’albergo di Custellin, a Reppia, nell’alta Valle, abbastanza frequentata per l’aria fresca di cui ci si poteva giovare, sfuggendo d’estate all’afa cittadina. Gianni Sivori, il proprietario, prese a benvolere questo giovane di poche parole, che girava a piedi con umiltà e faceva domande serie su tradizioni e oggetti, sempre con un registratore; talvolta al mattino lo portava lui stesso in qualche piccola frazione del Comune con la sua seicento, e lo presentava ai conoscenti del luogo, come dire “Tranquilli, sta da me, è un tipo a posto”, perché Gianni non era persona da star dietro a dei perditempo.Pian piano la gente si abituò a Hugo, comprendendo la sua passione autentica e aiutandolo, lui che avevano soprannominato “il professore”, non solo con le risposte alle sue domande o facendogli vedere concretamente come si viveva.Qualcuno lo faceva sedere con la famiglia “à drinà”, ovvero al desinare di tutti i giorni, come uno di loro.Ed era proprio quello che Hugo cercava, non solo per il calore umano dell’entroterra, apparentemente un po’ ritenuto, ma efficacissimo. Anche lui essenziale di carattere, lo studioso ascoltava, imparava, registrava, prendeva appunti sul quadernino sempre aperto, dal quale non si separava mai. Gli interessavano soprattutto i vecchi, per la parlata e la pronuncia arcaica: qualcuno era sordo e altri con pochi denti, ma ciò che dicevano era e resta importantissimo. Hugo cominciò ben presto a parlare lui stesso benissimo il genovese rustico, che adoperava, ormai sempre con tutti, utilizzando la stessa inflessione degli abitanti locali. Qualche volta ci dormiva , nei paesini dislocati nella Valle, e quando tornava da Carmen dei Custellin, la moglie di Gianni, raccontava lo stupore e la meraviglia dell’aver pernottato ad esempio in una stanza di contadini che, sul pavimento di legno, stendevano le mele per meglio conservarle,nell’ autunno- inverno: “Ho dormito con un profumo, un profumo…”, esclamava Hugo. Aveva perfino un suo codice di correttezza professionale: non comperava né accettava in regalo alcun manufatto, per non sembrare un antiquario o un approfittatore. Il giovane era molto preciso e ordinato anche nella sua organizzazione personale, a sentire le inservienti dell’albergo, e forse questa sua attitudine lo ha aiutato a sistemare gli appunti in un’opera così completa, col massimo rigore epistemologico nella più grande semplicità e con il valore aggiunto del calore antropologico della zona. A completare il capolavoro le splendide tavole a tutta pagina dell’esperto Franco Vergine, fotografo di valore proveniente dalla provincia di Rieti, con il placet selettivo della solida professionalità di Eugenio De Andreis, Presidente della casa Editrice Sagep di allora: diventato amico di Plomteux, ne comprese profondamente lo spirito e l’aiutò ad estrinsecare l’esemplare ricerca in una pubblicazione rilevante eppure misurata, un capolavoro.  Nel 2001 la Biblioteca scolastico civica di Ne, in Valgraveglia, è stata doverosamente intitolata proprio allo studioso belga Hugo Plomteux, e questa sua principale opera è disponibile oggi in unica copia nella struttura di pubblico servizio, continuando a circuitare tra i frequentanti e nelle Scuole. In questi anni sono venuti a visitare la Biblioteca Plomteux anche i familiari e i fratelli di Hugo, che hanno confermato quanto lo studioso (che ebbe poi una cattedra prestigiosa all’Università di Leuven e scomparve prematuramente intorno ai quarant’anni) si fosse fatto negli anni giovanili abitante di questi luoghi, sentendosi in patria. Secondo la moglie, Paola Plomteux Bardelli, il paesaggio e i suoi abitanti “formavano per Hugo un tutto inscindibile: il linguaggio stava ai valligiani come le opere dei campi e dei fabbricati stavano alla vallata”. Avere una copia personale, o più copie a disposizione del pubblico, di questo libro “Cultura contadina in Liguria, la Val Graveglia” significa poter tornare continuamente alla radice della propria identità come individuo e come popolazione, riconsultandolo, quando è necessario, in merito alla costruzione del paesaggio e del suo tessuto culturale: ambiente naturale, vita di relazione, organizzazione dei lavori, particolarità relative alle varie età dell’uomo, antica scolarità, tradizioni familiari, modi di dire e parole in vernacolo, vizi e virtù dei contadini sono così tramandati e par di sentire la voce narrante degli avi.

Per sapere chi siamo e da dove veniamo. Per capire dove andremo.

Per questi motivi, per le nuove generazioni, per chi chiede il libro persino da fuori, è necessaria una quarta ristampa, anche come ulteriore opportunità per fare il punto sulla ricerca oggi nel settore, traendone spunti per continuare la riscoperta dell’identità locale. Chi contribuirà ancora ne avrà merito prima ancora che chiara visibilità.

Va altresì dato atto a Paola Plomteux Bardelli, residente a Lovanio, in Belgio (cercata in occasione della terza ristampa per i diritti d’autore sugli impianti del libro, depositati presso la Sagep di Genova) di aver rinunciato alle competenze spettanti a lei e ai suoi figli, in favore di questa Valle, l’unica nella Provincia di Genova con la cartellonistica stradale di ogni frazione in doppia lingua, italiana e genovese.

(Testo a cura della Biblioteca H.Plomteux di Ne)

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